In tutto quest’anno di pandemia, l’attesa del vaccino è stato uno dei temi dominanti. Per riuscire a metterlo a punto in tempi eccezionalmente rapidi è stata realizzata una straordinaria mobilitazione di risorse finanziarie e di lavoro dei ricercatori, mentre tutto il percorso di valutazione e approvazione è stato accelerato in modo straordinario, per ridurre drasticamente i tempi pur mantenendo il necessario rigore nella verifica dei requisiti, in primo luogo quelli di efficacia e sicurezza. Questa pagina del sito dell’EMA (l’autorità europea del farmaco) illustra il processo in modo chiaro ed esauriente e spiega in che modo si sia arrivati a poter autorizzare la distribuzione in Europa del primo vaccino (quello sviluppato da Pfizer e BioNTech) entro il 29 dicembre, mentre nel Regno Unito, come sappiamo, sono già iniziate le prime somministrazioni.
Dovrebbe essere chiaro che tempi così rapidi lasciano necessariamente aperti molti interrogativi, in primo luogo sulla durata della copertura vaccinale. Dovrebbe però essere altrettanto chiaro che i requisiti di efficacia e sicurezza sono stati rispettati su campioni molto ampi e che gli effetti avversi riscontrati finora sono di scarsa entità, come abbiamo segnalato in un recente articolo. Tutte le informazioni disponibili, provenienti da fonti di indubbio rigore e abbondantemente certificate, sono unanimi nel raccontare una storia di successo, almeno per i principali vaccini oggi sottoposti alla valutazione delle autorità competenti.
Eppure, la sfiducia nei confronti di questo fondamentale strumento di prevenzione è molto inferiore a quanto dovrebbe e, fatto ancora più allarmante, sta scendendo quasi in tutti i Paesi. Un’indagine internazionale di IPSOS ha misurato il livello di fiducia dei cittadini di diversi paesi del mondo ad agosto e ottobre, vale a dire in un momento nel quale la pandemia era in fase discendente e il vaccino soltanto una speranza e tre mesi dopo, quando il coronavirus ha ripreso a colpire con forza ma la speranza di prima aveva decisamente cominciato a concretizzarsi.
Ebbene, i risultati sono tanto chiari quanto preoccupanti: ad agosto, il 77 per cento degli intervistati dichiarava che avrebbe assunto il vaccino se fosse stato disponibile, mentre a ottobre questa percentuale era scesa al 73. Ma il calo di fiducia è, probabilmente, ancora maggiore: infatti ad agosto erano stati intervistati cittadini di 14 paesi, a cui si è aggiunta in ottobre l’India che, con l’87 per cento di favorevoli, è il paese meno scettico.
Infatti, guardando i risultati paese per paese, vediamo che soltanto in Germania e Messico la disponibilità alla vaccinazione è (di poco) aumentata, mentre in tutti gli altri è diminuita. Il massimo calo si è registrato in Cina, dove le risposte sono passate dal 97 per cento di favorevoli ad agosto all’85 di ottobre, ma si segnalano forti cadute della fiducia anche nel Regno Unito (dall’85 al 79), Giappone (dal 75 al 69) e Spagna (dal 72 al 64). Il calo in Italia è molto meno sensibile, dal 67 per cento di agosto al 65 di ottobre, ma la nostra resta una delle nazioni più scettiche, superata in questo senso solo da Spagna, Stati Uniti e Francia. I tre paesi più favorevoli sono tutti asiatici: India, Cina e Corea del Sud, mentre nell’UE ci si fida di meno, con una quota di risposte favorevoli che va dal 69 per cento della Germania al 54 della Francia.
Nel complesso, lo scetticismo sembra motivato soprattutto da due fattori: il 34 per cento di coloro che non si vaccinerebbero teme gli effetti collaterali e il 33 non si fida di un processi di approvazione così rapido. Il 10 per cento ha dubbi sull’efficacia, l’8 non pensa di essere esposto al COVID, un altro 10 è contro i vaccini in generale. Grosso modo, questi valori sono costanti nei diversi paesi, anche se in Giappone e Cina la preoccupazione per gli effetti collaterali è significativamente più elevata.
Il dato cinese merita una particolare attenzione, sia per le proporzioni del crollo di fiducia, sia perché la Cina ha iniziato le vaccinazioni molto prima di tutti gli altri, con un prodotto autarchico di cui nel resto del mondo si sa abbastanza poco. In ogni caso, a inizio dicembre già quasi un milione di cinesi aveva già ricevuto il vaccino: ora che si tratta di una prospettiva concreta, a quanto pare, crescono i timori per le possibili conseguenze mentre, almeno in Cina, la minaccia dell’epidemia sembra meno preoccupante. Infatti, il 20 per cento dei cinesi che hanno detto che non si vaccinerebbero ritiene che il rischio di contrarre l’infezione sia basso; considerando questo dato insieme alla preoccupazione per gli effetti collaterali, emerge un quadro di valutazione del rischio che non è privo di una sua coerenza.
Il problema è che proprio in Europa, dove la pandemia è una realtà ben più drammatica e dove il vaccino sembra garantire un reale profilo di sicurezza, lo scetticismo è più forte. La ricerca dell’IPSOS, però, oltre a mostrare il problema fornisce anche tracce per una possibile soluzione.Se, infatti, la preoccupazione è dovuta soprattutto ai due fattori evidenziati prima, la risposta dovrebbe essere chiara. Si tratta di fare buona informazione, mettendo in evidenza il rigore delle procedure e la lievità delle reazioni indesiderate finora riscontrate. Buona informazione, naturalmente, non vuol dire propaganda: è giusto che i medici siano vigili su ogni possibile problema e che segnalino subito ogni reazione avversa. Ma proprio per questo bisogna evitare che la paura e l’improvvisazione si facciano sentire più della razionalità.