Da molte parti si sente dire, sempre più spesso, che stiamo per arrivare, o forse siamo già arrivati, al famoso picco epidemico: in altre parole, saremmo vicini al punto più alto di questa seconda ondata, dopo il quale, come una marea, dovrebbe cominciare la discesa. In effetti, a guardare i bollettini giornalieri del Ministero della Salute, come ormai abbiamo ricominciato a fare un po’ tutti, vediamo che da qualche giorno i nuovi positivi hanno cominciato a scendere. Lo conferma anche la mappa interattiva (dashboard) pubblicata sempre dal Ministero: se guardiamo il grafico dei contagi giornalieri vediamo che hanno già cominciato a scendere, anche se in maniera appena percepibile e da pochi giorni.
Ancora più confortanti sembrano le proiezioni statistiche sull’epidemia, come confermano i nostri amici di CoVstat nel loro report settimanale. I modelli di CoVstat si sono rivelati molto efficaci nella prima ondata, quando avevano previsto il picco con molta più precisione di altri istituti e, sempre stando a loro, ci siamo (con un intervallo di incertezza a seconda della variazione di un parametro chiave, ma in ogni caso sarebbe al massimo questione di pochi giorni).
Anche se siamo talmente in attesa di buone notizie da rallegrarci al più piccolo barlume di luce in fondo al tunnel, dobbiamo comunque essere molto cauti. La prima ragione di questa cautela è che ci sono diversi picchi, non solo uno. Infatti, se anche il numero di nuovi positivi dovesse confermare la sua tendenza alla riduzione, quelli dei ricoverati in ospedale o in terapia intensiva, come quello dei decessi, tenderanno ancora ad aumentare. Ciò è dovuto al fatto che molti dei nuovi positivi al coronavirus sono in uno stadio iniziale della malattia e solo in seguito possono aggravarsi. Inoltre, per fortuna oggi si fanno molti più tamponi rispetto alla prima ondata. Ciò significa, da un lato, che si trovano molti più positivi, dall’altro che, essendo queste persone più giovani e sane rispetto ai positivi della fase precedente e venendo seguite e curate in fasi molto più precoci della patologia, gli esiti sono spesso molto migliori: si guarisce di più, spesso senza passare dall’ospedale.
Di conseguenza, non solo il numero di nuovi contagiati è ormai relativamente poco significativo, ma possiamo aspettarci che gli altri dati continuino a crescere ancora abbastanza a lungo. Nel caso dei decessi giornalieri, dobbiamo prepararci al triste compito di contarne ogni giorno di più, forse per un mese ancora. Ciò significa che la pressione sul sistema sanitario aumenterà ancora nelle prossime settimane, perché i ricoveri ordinari e intensivi sono destinati a continuare la loro crescita.
C’è poi, come dicevamo prima, un secondo ordine di motivi che ci suggerisce la cautela. Se anche siamo vicini ai diversi picchi della seconda ondata e, a partire da metà dicembre, possiamo aspettarci una sensibile diminuzione di tutti gli indicatori, questa sarebbe soltanto la fine della seconda ondata. Insomma, purtroppo non possiamo escludere che ce ne sia una terza.Certo, le ottime notizie sul fronte dei vaccini ci fanno ben sperare, ma non è ragionevole pensare che ve ne sarà una disponibilità sufficiente nella prima metà del prossimo anno. Non possiamo puntare tutto solo su questa carta: dobbiamo, invece, farci trovare pronti. Se già questa volta, al di là delle molte giuste critiche che possono essere fatte, siamo più attrezzati rispetto alla seconda metà di febbraio, la prossima dovremo esserlo ancora di più. Sappiamo quello che serve: maggiore capacità da parte delle strutture ospedaliere di far fronte a nuove emergenze, ma soprattutto più organizzazione, risorse e strumenti al territorio, per il fondamentale lavoro di diagnosi precoce e tracciamento. Come in ogni epidemia, la battaglia decisiva si combatte sul territorio, fuori dall’ospedale. Speriamo che la prossima volta ci si ricordi di questa fondamentale verità.