La breve sospensione della somministrazione del vaccino Astra-Zeneca ha suscitato reazioni molto accese, soprattutto tra chi ha ritenuto che vi fosse un eccesso di allarmismo, tanto da affermare che le istituzioni italiane, di altri paesi europei e la stessa EMA avrebbero fatto un regalo ai no-vax e alimentato la sfiducia nei vaccini, causando un ulteriore ritardo nella campagna vaccinale. Esaminando i fatti, però, emerge un quadro forse meno tragico.
In effetti, lo svolgimento dei fatti è stato abbastanza lineare: sono arrivati rapporti di reazioni avverse gravi, probabilmente non previste dalla documentazione iniziale. In particolare, sembrano significative le osservazioni del Paul-Ehrlich-Institut, che riportano “una impressionante accumulazione di una specifica forma di trombosi venosa cerebrale molto rara (trombosi dei seni venosi) in combinazione con una carenza di piastrine (trombocitopenia) e sanguinamento, in stretta prossimità con le inoculazioni del vaccino Astra-Zeneca per il Covid-19)”. Il compito dell’EMA, come di ogni autorità preposta all’autorizzazione e alla vigilanza dei farmaci, è proprio questo: esaminare ogni rapporto di possibile reazione avversa che possa essere correlata al farmaco in questione, per decidere se ritenerlo poco rilevante e proseguire con le autorizzazioni correnti, modificare le indicazioni terapeutiche o ritirare il prodotto. Allo stesso modo, le indicazioni possono essere estese, come è avvenuto proprio pochi giorni prima per lo stesso vaccino Astra-Zeneca, autorizzato anche per la fascia tra 65 e 75 anni.
La sospensione è forse un atto irrituale, o comunque di eccessiva cautela, ma per la sua breve durata (appena tre giorni) non sembra tale da interferire con il piano di vaccinazioni. Semmai, si può dire che questa prudenza è una prova del fatto che i potenziali rischi sono presi sul serio e che i vaccini sono effettivamente sicuri. In questa fase, in cui è molto importante vaccinare la popolazione il prima possibile, proprio la massima attenzione alla sicurezza è una risorsa fondamentale per il successo della campagna vaccinale.
Campagna che ha ben altri problemi: il più rilevante è la scarsa disponibilità di vaccini, ma è altrettanto significativa la questione della distribuzione. In Italia, infatti, al 17 marzo risultava somministrato solo l’80 per cento dei vaccini arrivati nei magazzini, mentre nel complesso dell’UE il dato è ancora più preoccupante, visto che all’11 marzo, su 60,7 milioni di dosi consegnate ne erano state somministrare soltanto 43,1 (il 71 per cento).
Le dichiarazioni della presidente della Commissione europea indicano che il primo problema potrebbe essere in via di soluzione. Pfizer-BioNTech e Moderna stanno onorando gli accordi, con la prima impegnata per 200 milioni di dosi nel secondo trimestre e la seconda per 35. Da aprile sarà disponibile anche il vaccino di Johnson&Johnson, con 55 milioni, in singola somministrazione. A questi si aggiunge Astra-Zeneca, impegnata per 180 milioni di dosi ma che ne potrà consegnare solo 70. Insomma, secondo questi dati nel prossimo trimestre dovrebbero esserci vaccini a sufficienza per la completa immunizzazione di 215 milioni di europei, più della metà della popolazione. A garantire la effettiva disponibilità, sempre secondo von der Leyen, gioca anche il nuovo atteggiamento della commissione rispetto all’esportazione. Se finora l’UE ha fatto la sua parte nella solidarietà internazionale, ora è pronta, in assenza di reciprocità, a tutelare i propri interessi e a bloccare l’export.
Certo, è presto per dire che tutto sia risolto. Ma dovrebbe essere chiaro che il vero compito da affrontare è quello di gestire l’organizzazione per far arrivare il vaccino ai cittadini: se tutto andrà come previsto, dovremo essere pronti a gestire questa massa di vaccini con la massima efficacia.