Giovedì 25 abbiamo potuto seguire il webinar Going Viral: The Future of Human Health, Pandemic Resilience and Biowarfare, organizzato da COTA Capital. Relatrici dell’evento sono state Milana Boukhman Trounce dell’università di Stanford e Gigi Kwik Gronvall della Johns Hopkins, entrambe a capo di progetti chiave sul Covid-19 nei loro istituti. A moderare l’evento, l’italiano Simone Brunozzi, partner operativo di COTA.
La prima parte della conferenza ha fornito l’occasione di fare il punto sulla ricerca e chiarire alcuni aspetti chiave dei vaccini oggi disponibili. Confrontando le indicazioni iniziali con cui sono stati autorizzati i vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna con le evidenze emerse dalle campagne vaccinali, si è potuto vedere che l’efficacia è persino maggiore rispetto a quanto inizialmente previsto e che l’incidenza di reazioni avverse severe è sensibilmente più bassa. Si conferma, insomma, il detto citato nel corso del webinar: la biologia (e, a maggior ragione, la medicina) non è una scienza teorica, deve confrontarsi con il mondo reale; in questo caso, i tempi rapidi di sperimentazione e di approvazione hanno prodotto un protocollo iniziale cautelativo, che si sta espandendo via via che i dati reali forniscono maggiore conforto.
Ciò vale anche per la questione delle varianti del virus: se negli ultimi mesi se ne sono scoperte tante, ed è facile prevedere che altre ancora se ne scopriranno, è perché si è cominciato a cercarle, seguendo una progressiva accumulazione di procedure e capacità. La buona notizia è che i vaccini a mRNA, oltre a essere efficaci sulle varianti finora riscontrate, sarebbero comunque “riprogrammabili” con relativa facilità. In altre parole, questa nuova tecnologia promette di essere adattabile anche in caso di mutazioni inattese. Una delle eredità positive della pandemia è proprio la messa a punto di questa tecnologia biomedica, che sembra molto promettente anche in altri campi, compreso quello oncologico.
Chiariti questi punti, le relatrici hanno offerto la possibilità di allargare lo sguardo, anche oltre la dimensione propriamente sanitaria della pandemia. Il tema della resistenza alla minaccia pandemica, infatti, rende necessario passare in rassegna tutta una serie di temi, che riguardano la risposta della società a una minaccia che sembrava tramontata e che, invece, rischia di essere sempre più presente nel nostro futuro.
Il tema principale è quello della preparazione: in tutto l’Occidente abbiamo dovuto praticamente costruire da zero un apparato in grado di rispondere alla sfida, non tanto per gli aspetti sanitari quanto per quelli sociali ed economici. Il dibattito continuo sulle chiusure e gli indennizzi, la messa in sicurezza delle strutture e i sistemi di tracciamento ha resa la nostra risposta sia stata indecisa e meno efficace di quella di altri Paesi, come la Corea del Sud. Analizzare il caso coreano può indicarci la strada da percorrere: le loro esperienze con la SARS hanno prodotto un sistema di allarme precoce probabilmente inaccettabile da noi per il livello di intrusione nella privacy, ma che è indubbiamente un ottimo esempio di integrazione tra decisione politica, efficienza amministrativa e capacità tecnologiche.In altre parole, dobbiamo adottare una prospettiva di biosicurezza, intesa come “l’insieme delle misure o procedure per proteggere la popolazione da sostanze biologiche o biochimiche nocive”. Si tratta di un approccio globale che copre anche ambiti a prima vista non evidenti, come i sistemi per migliorare la qualità dell’aria negli spazi chiusi (edifici, ma anche auto, treni, aerei), oltre all’organizzazione del welfare e alle tecniche di monitoraggio e allarme precoce, che si sommano agli aspetti puramente sanitari. In altre parole, dobbiamo dotarci di strutture permanenti per la biosicurezza: come i pompieri, quando non ci sono incendi possono sembrare inutili, ma non è una buona ragione per farne a meno.