Quello che sappiamo su COVID e immunità

Una cosa è certa della pandemia di COVID-19: ne sappiamo ancora poco. I virus mutano con estrema facilità e, una volta entrati in contatto con il corpo umano, la risposta può variare molto. Non c’è da stupirsi, allora, se la ricerca scientifica è dovuta tornare più volte sui propri passi, anche smentendo ipotesi che fino a un momento prima erano molto accreditate. Se tutto ciò può creare confusione e destare preoccupazione, è anche la prova che il metodo scientifico funziona: si procede per tentativi da verificare scrupolosamente, fino ad arrivare a una spiegazione sempre più ampia e soddisfacente.

Uno degli aspetti chiave su cui si sta concentrando la ricerca oggi è l’immunizzazione, ossia la capacità dell’organismo di chi è stato infettato dal coronavirus di difendersi da nuove infezioni. Si tratta di una questione fondamentale nello sviluppo del vaccino, visto che la sua efficacia dipende proprio dalla capacità del nostro sistema immunitario di “memorizzare” questo nemico e predisporre le opportune difese.

Allo stato attuale della ricerca, dobbiamo partire da un fatto fondamentale: al momento abbiamo ancora pochi dati su quello che succede alle persone guarite dal COVID-19 e sulla loro capacità di difendersi da nuove infezioni. L’ECDC (il centro europeo per il controllo delle malattie) avvisa che la presenza di anticorpi non indica che vi sia una protezione diretta e che non siamo ancora in grado di determinare con efficacia la correlazione tra questi anticorpi e la protezione dalla patologia. Tuttavia, sappiamo che nel caso di altri coronavirus, la presenza di anticorpi tende a diminuire nel tempo, in un periodo che va dalle 12 alle 52 settimane. Si è osservato che le reinfezioni da questo tipo di virus tendono a verificarsi dopo circa tre anni, ma questo non significa che per tutto il periodo vi sia stata una reale immunità, dato che per contrarre di nuovo l’infezione devono verificarsi diverse circostanze. In altre parole, oltre a non essere immuni, bisogna anche che sia avvenuta una sufficente esposizione.

Uno studio ancora in corso di revisione ha osservato che gli anticorpi erano presenti in misura significativa nell’organismo di persone guarite per almeno tre mesi, e potenzialmente anche per periodi molto più lunghi. Resta da capire, come si diceva, in che misura questo possa dare un’effettiva protezione dal virus.

All’atto pratico, tutto questo significa che dovremo ancora aspettare diversi mesi, nei quali si potrà osservare il comportamento del sistema immunitario di un gran numero di persone per un periodo sufficientemente lungo e verificare, uno per uno, i possibili casi di reinfezione. Uno studio pubblicato su Lancet ha esaminato quattro casi in tutto il mondo: ovviamente sono ancora molto pochi e le ricerche condotte finora hanno evidenziato che si tratterebbe di un fenomeno molto raro, ma è troppo presto per trarre conclusioni.

Insomma, ci sono molti aspetti da chiarire prima di capire quanto un eventuale vaccino potrà davvero proteggerci. Intanto, non abbassiamo la guardia: applichiamo tutti gli acorgimenti di prevenzione e, in caso di sintomi, chiamiamo subito il nostro medico di famiglia. Ricordiamoci sempre che la nostra salute è la salute di tutti: se abbiamo tosse o febbre, non dobbiamo andare in ambulatorio o al pronto soccorso, ma chiamare il medico o i servizi sanitari, descrivere i sintomi e aspettarli a domicilio, perché si possano prendere cura di noi in tutta sicurezza.