La gestione dell’emergenza Covid, per come è stata affrontata finora, ha messo in disparte i servizi di sanità del territorio, che pure dovrebbero essere la frontiera della lotta a ogni epidemia. Cittadinanzattiva, con il sostegno di Fimmg e con il patrocinio del Ministero della Salute e di 86 tra Società Scientifiche e Associazioni di tutela dei pazienti, ha svolto un’analisi per definire meglio i punti più rilevanti di questa crisi (qui il rapporto completo). Questo lavoro fa parte del progetto “Torniamo a curarci – Non togliamo il medico di torno”.
Il primo limite riguarda la mancata innovazione tecnologica. Non da parte dei medici di medicina generale, che si sono dati da fare: il 62 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver attivato soluzioni e strumenti digitali e telematici, mentre solo il 35,1 le usava da prima della pandemia. Soltanto il 36,9 per cento, comunque, ha usato piattaforme e software gestionali e, tra questi, nella stragrande maggioranza dei casi (l’86 per cento) su iniziativa autonoma o dell’Associazione di categoria di cui fanno parte.
Quello che manca invece è il coordinamento centralizzato in senso verticale (con le regioni e le ASL) e orizzontale (con gli specialisti e le strutture ospedaliere). Il risultato è la mancata continuità nella presa in carico del paziente, particolarmente importante nel caso di una patologia come il Covid, capace di degenerare molto rapidamente: intervenire puntualmente, modulando le prestazioni sanitarie sulla base dell’evoluzione della patologia, è la chiave per evitare gli esiti infausti. Lo si vede con chiarezza paragonando la mortalità nel nostro Paese con quella di contesti, come quello tedesco, in cui questa continuità è stata assicurata.
Dal rapporto emerge che le regioni hanno una sorta di doppio binario nella sanità digitale: secondo quanto riferito dai direttori di ospedali e poliambulatori, sono presenti quasi ovunque (più del 90 per cento dei casi) raccomandazioni e regolamenti delle regioni, che nel 60 per cento dei casi hanno fornito anche i software gestionali o le piattaforme. Anche il tele-monitoraggio, profondamente utile nella gestione delle cronicità, è stato utilizzato, in fase pandemica, dal 17,9 per cento degli intervistati e sono solo 98 i MMG che eseguono valutazioni e monitoraggio dei pazienti con dispositivi digitali a domicilio. Sull’altro versante, il 54,5 degli specialisti svolge questo tipo di attività, soprattutto in cardiologia, neurologia e oncologia.
Lo stesso problema di scollamento tra territorio e dirigenza sanitaria si nota nei percorsi di accesso al pubblico. Quasi tutti gli studi medici (il 93,8 per cento) hanno rimodulato i servizi e le modalità di accesso agli studi medici, per contingentare la presenza fisica ed escludere i pazienti sospetti positivi. Nell’88,1 per cento dei casi, gli orari di accesso al pubblico sono stati ampliati per rendere possibile la calendarizzazione degli appuntamenti, evitando assembramenti e cercando di fornire un servizio continuativo per non interrompere il percorso di cura. L’11.9 per cento ha seguito la strada opposta, riducendo la permanenza allo studio per sviluppare percorsi alternativi, favoriti dalle tecnologie digitali. Tutto questo, in modalità rigorosamente fai da te, a carico dei medici o delle associazioni di riferimento: nel 53,6 per cento dei casi si riscontra la completa mancanza di linee guida e regolamenti a garanzia della sicurezza da parte delle ASL. Questo dato è opposto a quanto dichiarato dai direttori di ospedali o poliambulatori, in cui i cambiamenti strutturali e di organizzazione degli spazi e dei tempi sono stati stabiliti dalle ASL nel 90,6 per cento dei casi.
Dall’analisi delle risposte emerge chiaramente una sensazione di solitudine. Le ASL sono percepite come distanti dai medici, non hanno fornito indicazioni e non sono state capaci di organizzarsi per affrontare la seconda ondata della pandemia, ampiamente attesa da tutti.La propensione all’innovazione è netta e le conquiste fatte in questi mesi sono viste come strumenti indispensabili anche nel prossimo futuro (ricetta dematerializzata, DPC, telemedicina) ma c’è anche una forte richiesta di regole per tutelare medici e cittadini. In positivo, spicca la capacità di autorganizzazione da parte della medicina del territorio, che è la vera risorsa da valorizzare nel prossimo futuro, anche oltre la pandemia.