Mentre stiamo ancora lavorando per uscire dalla pandemia, è già il momento di pensare al futuro. Non è certo presto per fare un bilancio di quello che è successo, visto che la lezione più importante è ben chiara. Partiamo da un dato purtroppo tragico: la mortalità in Italia è stata decisamente troppo alta. Nel nostro paese il tasso di decessi, sul totale dei casi chiusi, è del 3,19 per cento, contro il 2,03 della Francia, il 2,51 della Germania e il 2,23 della Spagna. Si tratta di un eccesso di mortalità pari a quasi il 50 per cento, che non fa certo onore al nostro servizio sanitario (fonte).
Ma questo dato, da solo, è significativo solo in parte. Dato che, per tutta la pandemia, è stata fatta la discutibile scelta di non intervenire quasi per nulla sull’impostazione regionale dell’assistenza sanitaria, è necessario interpretare il dato a questo livello. Vediamo subito che la Lombardia, dove si è registrato quasi un quarto dei casi, ha una mortalità del 4,19 per cento. Sembra difficile non associare questo dato alla scelta lombarda di lasciare nell’angolo la medicina generale e i servizi territoriali. Ciò è confermato dal dato del Veneto, in cui l’incidenza della pandemia sulla popolazione è stata analoga, ma con una mortalità ben più bassa, del 2,79 per cento (fonte). Questi dati non lasciano dubbi: la politica sanitaria è, letteralmente, una questione di vita o di morte.
Ecco perché oggi dobbiamo cogliere l’occasione del PNRR per rilanciare l’assistenza sanitaria sul territorio. Ciò vale tanto per le pandemie prossime venture, quanto per le patologie dei tempi “normali”, che l’emergenza Covid ha lasciato in secondo piano, con costi che dovremo scontare nei prossimi anni.
Condivisione, non imposizione
Si tratta di ripensare globalmente il modello: mettere al centro il territorio vuol dire puntare su partecipazione, accessibilità e tecnologia. Significa, per recuperare un motto sempre attuale, mettere al centro il cittadino con il suo medico, usando al meglio le risorse digitali. Ripensare la sanità a partire dal territorio è un processo articolato e partecipativo, che non può ridursi a una serie di direttive dall’alto.
Per questo la trasmissione di Milena Gabanelli del 24 maggio suscita, a essere diplomatici, un certo sconcerto. In primo luogo, per i contenuti: una “riforma” del territorio a base di strutture “di comunità” gestite dall’alto non è certo l’approccio corretto. In secondo luogo, per le modalità: non è elegante presentare un progetto così ambizioso come una serie di dati di fatto inoppugnabili, specie se al tempo stesso si mostra di non conoscere perfettamente la materia. Infine, perché non se ne può più: basta, davvero basta perorare la trasformazione dei MMG italiani da liberi professionisti a dipendenti.
Il valore della professione
Soprattutto, che non lo si faccia dicendo, testualmente, perché “non gli si può dire cosa devono fare”. Come nota, nella sua dura risposta, il segretario nazionale FIMMG Silvestro Scotti, proprio questa pandemia mostra come i MMG si siano sacrificati e abbiano saputo indicare le soluzioni più adatte, quando sono stati ascoltati. Basta, soprattutto, cercare di imporre queste “riforme” in nome dell’Europa. Giova infatti ricordare che i MMG sono dipendenti pubblici solo in cinque Paesi (Svezia, Finlandia, Spagna, Portogallo e Grecia). In altrettanti sono liberi professionisti (Austria, Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo) e convenzionati in quattro (Italia, Danimarca, Olanda e Irlanda) oltre che nel Regno Unito.
Cerchiamo di ripartire dalla realtà, da quanto la medicina può dare quando le viene permesso, dalle reali esigenze dei cittadini e dei professionisti della salute, dalle reali capacità della digitalizzazione. Su questo dato di realtà e sulla partecipazione di tutti sarà possibile costruire davvero un futuro migliore.