Già sei mesi fa, scrivevamo che i conti della pandemia sarebbero stati ben peggiori di quelli direttamente legati al Covid. Purtroppo non era difficile prevedere che il mancato trattamento di molte patologie gravi, specie quelle croniche, avrebbe avuto un costo pesante. Se vogliamo calcolare la reale mortalità da Covid in Italia, non possiamo limitarci al già triste conteggio delle vittime della pandemia. E non finisce qui, ovviamente: perché siamo di fronte a una perdita di salute e qualità di vita difficile da contabilizzare, ma certo ancora maggiore.
Intanto, uno studio di alcuni ricercatori dell’Università di Pavia, uscito su Public Health, fornisce un importante contributo. Lo studio ha calcolato il surplus di decessi nel periodo pandemico rispetto alla media degli anni 2015-2019: 108.000 morti in più nel solo 2020 (750.000 rispetto a 642.000). Di questi, “soltanto” il 43 per cento sarebbe direttamente imputabile alle infezioni da coronavirus.
Quanto ha pesato la pandemia?
La fotografia dell’anno in corso è molto diversa. Tra gennaio e aprile, in Italia ci sono stati 192.000 decessi, 9.000 in più rispetto ai valori “normali”. Si tratta di numeri ben più bassi registrati nel 2020, almeno in valori assoluti: assumendo periodi omogenei, su scala annuale sarebbero 27.000. Ma, in questo caso, la quota di morti dovute al Covid è nettamente più bassa: siamo al 16 per cento. La distribuzione sul territorio nazionale segna lievi differenze: si va dal 19-20 per cento del Nord al 14-16 del Mezzogiorno.
Il dato che ne emerge è chiaro: l’anno scorso, il 57 per cento dell’eccesso di mortalità (circa 62.000 decessi) è stato dovuto a cause dirette diverse dal Covid. Quest’anno, la quota è salita all’84 per cento, vale a dire più di 7.500. Lasciamo l’interpretazione di questi dati ad Anna Odone, ordinaria di igiene dell’ateneo di Pavia che ha coordinato il lavoro:
Nell’aumento di mortalità troviamo sia i morti Covid sia quelli non Covid causati anche dalle cure mancate. I decessi dei casi Covid continueranno a calare per diversi motivi. Purtroppo le persone più ad alto rischio sono morte nel 2020. Quelle sopravvissute hanno invece avuto il vaccino, che protegge contro la malattia grave e la morte.
Le cure mancate
Ci troviamo dunque di fronte a un forte incremento della mortalità dovuto alla riduzione della disponibilità delle cure. Una ricerca sulle cure mancate nel 2020 rileva che ci sono stati 1,3 milioni di ricoveri in meno rispetto al 2019 (-17 per cento), di cui circa 620.000 chirurgici. Sono stati cancellati 747.011 ricoveri programmati e 554.123 urgenti.
Le aree più coinvolte sono state quelle della chirurgia generale, dell’otorinolaringoiatria e della chirurgia vascolare. Per l’ambito cardiovascolare c’è stato un calo di circa il 20 per cento degli impianti di defibrillatori, dei pacemaker e degli interventi cardiochirurgici maggiori. I ricoveri di chirurgia oncologica hanno avuto una contrazione del 13 per cento, quelli di radioterapia del 15 e di chemioterapia del 30. Nel 2020 ci sono state 90 milioni di prestazioni di laboratorio, 8 milioni di prestazioni di riabilitazione in meno, 20 milioni di prestazioni di diagnostica in meno.
La risposta necessaria
Con questi numeri, non c’è da stupirsi che l’impatto sia stato significativo. Ma questa, ancora, è un’immagine parziale. Da una parte, il solo dato della mortalità da covid in Italia non indica la perdita di benessere e qualità di vita collegata alle minori prestazioni sanitarie. Dall’altra, si tratta di un problema di lungo periodo, visto che meno esami, meno diagnosi e meno riabilitazione producono maggiori problemi di salute anche oltre il breve termine. Il problema
Uscire dall’emergenza non significa solo superare la pandemia e nemmeno tornare al livello normale di prestazioni sanitarie. Sulla base di questi dati, è necessario un approccio proattivo, che cerchi di recuperare, per quanto possibile, il tempo e la salute che abbiamo perduto. Significa puntare sulla medicina di iniziativa, sulla digitalizzazione come risorsa per accelerare i tempi e territorializzare la diagnosi di primo livello, sull’empowerment. In questo modo, potremmo usare le sfide prodotte dall’emergenza come opportunità per migliorare il sistema sanitario nel suo complesso. Forse, così, saremo anche più preparati per la prossima pandemia.