La diseguaglianza vaccinale

Mentre i media italiani si dedicano al non troppo appassionante dibattito sul Green Pass e sull’obbligo vaccinale per alcune categorie, proviamo ad allargare lo sguardo. Oltre a ragionare sulle politiche vaccinali in Italia, come abbiamo già fatto e continueremo a fare, vediamo lo stato delle vaccinazioni nel mondo. Il quadro generale, (ourworldindata.org), sembra incoraggiante: il 30,2 per cento della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose e il 15,6 ha completato il ciclo. Numeri straordinari, se si pensa che sono passati appena otto mesi dall’avvio delle prime campagne vaccinali.

Andando a vedere i dati disaggregati, però, si evidenzia una netta spaccatura. Europa e Nord America, nel complesso, hanno coperto almeno parzialmente il 50 per cento della popolazione e l’America Latina vi si avvicina. Nel resto del mondo la situazione è però ben diversa, con l’Asia al 30 per cento (e solo il 12 con entrambe le dosi), l’Oceania ancora al di sotto e l’Africa quasi completamente scoperta.

Un mondo diviso

La prima spiegazione è facile: la cura della salute, anche ai tempi della pandemia, è cosa da ricchi. Questa impressione è ancora più chiara se si guarda, per esempio, all’Europa. L’UE è ben al di sopra della media continentale e, anche all’interno dell’Unione, i paesi occidentali e più ricchi sono i più vaccinati, con la sola eccezione di Malta. I paesi non comunitari dell’est sono molto indietro, anche rispetto alla media mondiale. Si trova una situazione simile anche in America Settentrionale, con USA e Canada da una parte, Messico e resto dall’altra. Anche in Asia, Giappone, Corea del Sud, pur partiti in ritardo, si avvicinano al 50 per cento di copertura con la prima dose. Il resto è molto più indietro.

Sempre in Asia, poi, c’è il mistero della Cina, per la quale i dati sono in gran parte stimati. Secondo Reuters, comunque, le fonti ufficiali parlano di quasi un miliardo e ottocento milioni di dosi somministrate, sufficienti a coprire totalmente il 63,8 per cento della popolazione. Un risultato strabiliante, specie considerando che la campagna vaccinale è stata fiacca fino a metà aprile. Insomma, qualche dubbio è lecito, anche se è facile pensare che il movimento no-vax abbia qualche difficoltà a far sentire la sua voce, da quelle parti.

I problemi di Sinovac

Certo è, invece, che il Sinovac di produzione cinese non sembra il massimo dell’efficacia. Come evidenziato in questo articolo, su sei paesi con elevato tasso di vaccinazioni in cui si sono verificate nuove fiammate di contagio, cinque si affidavano al vaccino cinese.

Non solo. Come sappiamo, nel Regno Unito la ripresa delle infezioni non ha registrato un corrispondente incremento di decessi e ospedalizzazioni. Nei paesi che hanno fatto ricorso a Sinovac, invece, anche le conseguenze più gravi sono salite in proporzione. Questi risultati hanno spinto la Malaysia a sospendere il vaccino cinese, mentre Thailandia e Indonesia sono passate ad altri prodotti. La stessa Cina ha autorizzato il vaccino Pfizer-BioNTech con l’idea di sostituire il proprio Sinovac.

Questa debacle cinese, insieme ai risultati non particolarmente incoraggianti dello Sputnik russo, non è significativa soltanto dal punto di vista geopolitico. Fuori dall’occidente, questi vaccini sono stati il perno delle campagne vaccinali ed erano anche i candidati per cominciare a immunizzare l’Africa. Allo stato attuale, ciò significa che molti paesi dovranno ricominciare a vaccinare i loro abitanti con prodotti più efficaci. Insomma, potremmo dover rimettere indietro l’orologio delle vaccinazioni nel mondo per molti paesi, specie tra i più poveri.

Intanto, più restano zone scoperte, più il pericolo di nuove ondate e nuove varianti cresce. Dovremmo cominciare a guardarci intorno per aumentare sensibilmente il progresso delle vaccinazioni nel mondo, fornendo i migliori farmaci occidentali. Se non per solidarietà, almeno per interesse.