Ci siamo già occupati del long covid, con le prime linee guida. Si tratta di una sindrome complessa e sfuggente, per la quale un nuovo studio ha individuato ben 203 possibili sintomi. Riconoscere, monitorare e trattare efficacemente questa pesante eredità della pandemia è un nuovo compito della medicina generale, da affrontare anche con la digitalizzazione. La possibilità di effettuare un’efficace diagnostica di primo livello con sistemi, capaci di gestire i dati in modo efficace e senza sovraccaricare il MMG, è decisiva.
Allo stesso modo, la digitalizzazione permette un reale empowerment del paziente, che può contribuire a individuare i segnali di pericoli e a definire la corretta anamnesi. La funzione del digitale è, in tutti i campi, quella di gestire la complessità: per questo motivo, il contrasto del long covid è il terreno ideale per realizzare la svolta.
Lo studio, pubblicato nella sezione EClinical Medicine di Lancet, è stato condotto su 3762 pazienti di 56 Paesi con sindrome di long covid, sospetta o confermata. Come dicevamo, lo studio ha individuato 203 sintomi in 10 sistemi d’organo; circa un terzo di questi hanno afflitto i pazienti per almeno sei mesi. 2454 pazienti (quasi i due terzi del campione) avevano in media 13,8 sintomi al settimo mese dello studio.
Una sindrome a forte impatto
Il dato più significativo confermato dallo studio è, appunto, la durata dei sintomi, che dopo sei mesi assumono un carattere sistemico. Anche se nella pratica clinica prevale l’attenzione ai problemi respiratori, in particolare la mancanza di fiato, lo studio mostra che questa sindrome ha un impatto su altri apparati. Infatti, in media i partecipanti alla ricerca hanno riportato sintomi in nove diversi sistemi d’orano.
I più comuni sono l’affaticamento, il malessere dopo esercizio fisico o mentale e l’ottundimento cerebrale. Altri effetti comprendono allucinazioni visive, tremori, prurito, alterazioni del ciclo mestruale, disfunzioni sessuali, palpitazioni cardiache, problemi di controllo della vescica, formicolii, perdita di memoria, visione offiscata, diarrea e tinnito. Secondo i ricercatori, un ventaglio così ampio di sintomi non può essere affrontato con le attuali linee guida, che si concentrano su test di funzionalità polmonare e cardiovascolare.
Soprattutto perché questi disturbi hanno un pesante impatto sulla qualità di vita e la capacità di lavoro. Il 22 per cento dei partecipanti, infatti, ha dichiarato di non essere stato in grado di lavorare, con licenziamenti, congedi di malattia prolungati o dimissioni. Il 45 per cento, invece, ha dovuto ridurre i suoi impegni lavorativi. Stiamo dunque parlando di un quadro fortemente invalidante e a forte rischio di sottodiagnosi.
La risposta del territorio
A tutto ciò va data una risposta articolata, sul piano sanitario e sociale. Lo dice chiaramente Athena Akrami, autrice principale dello studio e neuroscienziata dell’University College di Londra. Parlando della realtà britannica, Akrami afferma che:
Ci sono probabilmente decine di migliaia di malati di long covid che soffrono in silenzio, incerti se i loro sintomi siano correlati al Covid-19. Siamo convinti che vada lanciato un programma nazionale nelle comunità locali per individuare, diagnosticare e curare chi è sospetto di long covid. Dobbiamo farlo partendo dalla rete delle cliniche per il long covid, che si basano sui referti dei MMG.
Fatte le dovute differenze tra il sistema britannico e quello italiano, il quadro dovrebbe essere chiaro anche per noi. Proprio i MMG, opportunamente informati e sensibilizzati, sono le sentinelle capaci di individuare un problema sanitario silente, per quanto diffuso. La continuità del rapporto di cura, la conoscenza del quadro clinico della persona e la capacità di dialogo con il paziente sono gli strumenti fondamentali. Innestandosi su questa realtà, i sistemi digitali possono fare la differenza, sia nell’individuazione della sindrome, sia nella gestione dei suoi effetti.
Stiamo passando dalla fase epidemica a una nuova forma di cronicità. Entrambi sono, tipicamente, campi di applicazione della medicina del territorio. Se, per usare un eufemismo, non abbiamo usato al meglio le risorse della medicina di base nella prima fase, cerchiamo di farlo da questo momento in poi.