L’agenzia che si occupa di regolamentare il prodotti sanitari nel Regno Unito (MHRA – Medicines and Healthcare products Regulatory Agency) ha assunto un nuovo impegno. L’obiettivo è di lavorare sulle piattaforme esistenti per migliorare l’interoperabilità in tutto il sistema sanitario britannico e a livello internazionale.
Entro la fine dell’esercizio 2021/22, l’agenzia presenterà i piani necessari per “trasformare completamente i costosi sistemi esistenti” e fornire servizi IT e digitali efficienti. I nuovi sistemi dovrebbero anche consentire notevoli risparmi, usando soluzioni semplici e intelligenti. La chiave per ottenere questo risultato è nella diffusione di automazione, intelligenza artificiale e un accesso digitale “self-service”.
Altra priorità del progetto, come dicevamo, è l’interoperabilità. Nelle parole del rapporto ufficiale dell’agenzia, questa trasformazione “potenzierà la nostra capacità di condividere i dati a livello nazionale e internazionale. Ci permetterà di ridurre i costi e, in ultima analisi, di proteggere meglio la salute pubblica”. Il ministro britannico dell’innovazione, lord Bethell, afferma che il piano mette a frutto le lezioni della pandemia, prima di lanciarsi nel solito peana sulle opportunità della Brexit. Al di là dei nazionalismi e delle loro promesse, almeno per il momento non troppo affidabili, il progetto in sé è molto interessante.
L’approccio di sistema
Soprattutto perché comprende un nuovo quadro legislativo, che supporta l’accesso continuo ai prodotti e l’innovazione sicura. Da questo punto di vista, è significativo come proprio l’interoperabilità di dati e sistemi sia vista come la chiave di volta per fare del Regno Unito un modello guida nei trial clinici.
Questa visione dovrebbe essere importata anche in Italia. Il nostro Paese paga una doppia frammentazione, e la pandemia lo ha mostrato con chiarezza. Da un lato, la sanità federale ha ostacolato l’adozione di misure efficaci, come ha notato anche Marcon lanciando il suo piano di innovazione sanitaria.
Dall’altro, la sanità è ostaggio di troppi sistemi chiusi che dialogano poco e male tra loro. All’atto pratico, ciò si traduce in continue difficoltà nella continuità assistenziale, che mettono in pericolo la salute dei pazienti e frustrano le capacità professionali dei medici. C’è anche il livello europeo, che da tempo spinge in questa direzione: l’interoperabilità è fondamentale per condividere l’innovazione tra gli Stati membri.
Condividere i dati: una necessità che diventa un obbligo
La questione è ben presente, ogni volta che si deve lavorare sulle questioni reali. Lo mostra anche il Documento di indirizzo sul Covid, che getta le basi per una nuova integrazione tra ospedale e territorio.
A ostacolare questo percorso ci sono, in Italia, due avversari: la burocrazia dell’amministrazione sanitaria e la ristrettezza di vedute di molti fornitori di sistemi. Entrambi vogliono, per ragioni diverse ma convergenti, mantenere il controllo sui dati. Dati che sono in primo luogo di proprietà pazienti, che devono essere usati nel loro interesse e con modalità che integrino tutti i soggetti che ne curano la salute.
Se oggi una gestione aperta e ben regolata dei diversi soggetti e sistemi della sanità è ostacolata dai detentori di queste rendite di posizione, il quadro può cambiare rapidamente. Proprio la digitalizzazione della sanità sta aprendo la porta a soggetti ben più forti, capaci di portare sistemi rivoluzionari e investimenti miliardari. Sono i benvenuti: non è il caso di fare crociate. Ma proprio per far lavorare queste realtà davvero a beneficio di tutti, servono regole chiare. Cominciamo a scriverle, per definire un quadro di requisiti valido per tutti, chiaro e trasparente: a beneficio della salute dei cittadini e della professionalità dei medici.
Con questo obiettivo, potremo finalmente lavorare per migliorare l’interoperabilità del sistema sanitario. Avremo così un modello chiaro e aperto, a beneficio di tutti quelli che vorranno entrare nella sanità digitale italiana.