Problemi e slogan

Dopo alcuni attacchi pretestuosi alla medicina generale (ne abbiamo parlato anche qui e qui),  c’è finalmente stato un confronto tra Milena Gabanelli e Silvestro Scotti. Si è trattato di un’occasione importante sia per i temi affrontati, sia per la possibilità di una riflessione, sempre opportuna, sulle modalità di comunicazione.

Cominciamo dal primo punto. La questione cruciale è quella delle Case di comunità, che dovrebbero organizzare la medicina generale in hub capaci di dare continuità di orario e disponibilità. Nulla di male, ma in fondo non molto di nuovo. Sono anni, infatti, che si parla di soluzioni organizzative per integrare lo studio del MMG e ampliarne l’offerta. Peccato, però, che siano anche anni che si varano le norme e ci si dimentica di renderle attuabili, tra carenze di finanziamenti e burocrazie tutt’altro che fulminee. Come ha notato il segretario Scotti, oggi si parla di Case della comunità quando in molte regioni si devono ancora firmare i contratti 2016-2018, prima del Covid.

Il principio di realtà

Insomma, inutile parlare di soluzioni organizzative quando a mancare è proprio la capacità di organizzare. Il progetto delle Case segna un passo avanti, se non altro perché questa volta, grazie al PNRR, sembra che ci siano almeno i fondi per partire. Ma si tratta di una soluzione integrativa e non sostitutiva dell’assetto attuale, se non altro perché le circa 1.200-1.300 strutture previste sono insufficienti a coprire il territorio. Qui si fa apprezzare l’intervento in trasmissione di Domenico Mantoan, direttore dell’Agenas e ispiratore del progetto, che ha chiarito proprio questo punto.

Più ancora, però, la trasmissione è stata utile perché ha fatto emergere un vizio di forma del giornalismo d’inchiesta all’italiana, di cui Gabanelli è una nota rappresentante. Quello di dover sempre presentare un colpevole: ogni volta che qualcosa non funziona, bisogna trovare il responsabile e tutto si risolve. Così ci si inventa la fantomatica lobby della medicina generale che, in nome di interessi corporativi, bloccherebbe ogni riforma.

Complessità e semplicismo

Purtroppo la realtà è più complessa, quasi sempre. Lo è ancor più in questo caso, dato che la medicina generale si trova nel punto di incrocio di tre ordini di complessità. Il primo è quello della sanità, che articola diverse strutture, funzioni, professionisti e flussi di attività e dati. Il secondo è il territorio, per definizione discontinuo, frammentato, multiforme e in continua trasformazione. Il terzo, centrale nella medicina generale, è il rapporto personale tra medico e paziente, che ne costituisce la peculiarità principale e non si può ridurre a forme generiche.

Che Gabanelli e i suoi abbiano deciso di ignorare tutto questo è palese dall’equazione del tutto impropria tra il progetto in questione e lo statuto professionale dei MMG. Chiodo fisso di Gabanelli, infatti, è che i medici di medicina generale debbano smettere di essere liberi professionisti convenzionati per diventare dipendenti. A nulla è valso che Mantoan abbia spiegato che il progetto delle case della comunità non richiederebbe in alcun modo questa trasformazione. Ancora più nel vuoto sono caduti i tentativi di Scotti di spiegare le caratteristiche della libera professione convenzionata. Su questo, il confronto tra Gabanelli e Scotti ha rischiato di naufragare nell’incomunicabilità.

Da dove ripartire

Per gli incorruttibili, inossidabili, inarrivabili, incomprensibili (e forse anche incompetenti) crociati di Dataroom, la situazione è chiara. La libera professione, rappresentata da sindacati che ne tutelano gli interessi e la professionalità, è solo una lobby, foriera di distorsioni e portatrice di interessi illegittimi. Poco importa se questo ruolo salvaguarda il rapporto fiduciario e personale con il cittadino. Poco importa se questo rapporto è fondamentale perché il cittadino possa vedere nel suo medico di famiglia un alleato costante nei rapporti con il SSN. E nemmeno che solo su questa base si possa sviluppare la medicina generale per ampliarne l’offerta e la disponibilità e innovarla dove serve.

E ancor meno, ovviamente, importa che la medicina generale sia oggi in movimento, che ci siano iniziative di trasformazione a tutti i livelli. Iniziative da valorizzare per progettare il nuovo sistema sanitario dopo la pandemia. No, importa solo che si trovi il nemico da abbattere e si pretenda di dare una soluzione semplice, anzi semplicistica a problemi complessi. Ecco, il confronto tra Gabanelli e Scotti è servito, se non altro, a questo: a chiarire quanto questa soluzione sia sbagliata.